Ricordo dell’asilo più bello del mondo

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La favola bella incominciò quarantadue anni fa. Era il 7 marzo 1970 quando venne inaugurato nel cuore verde della città storica “l’asilo più bello del mondo”, che oggi festeggerà il compleanno con l’allegria di sempre. Il “Diana” fu la più completa concretizzazione delle idee di Loris Malaguzzi, il pedagogista a cui la città deve il prestigio internazionale guadagnato nell’educazione infantile. Erano tempi in cui sembrava ancora ovvio che i bambini in età prescolare crescessero sotto le ali protettive della mamma-chioccia. Ma già alla fine degli anni Cinquanta il boom economico, aumentando esponenzialmente l’occupazione femminile, faceva crescere la domanda dei servizi educativi per l’infanzia. L’Unione donne italiane, un’associazione collaterale ai partiti di sinistra, poneva in primo piano l’obiettivo di creare le strutture che consentissero alle lavoratrici di conciliare i tempi di lavoro con gli oneri familiari. La meta, in realtà era più ambiziosa. Si trattava di dare vita a scuole per l’infanzia che ponessero le premesse per la formazione di uomini nuovi, capaci di trasformare una società piena di contraddizioni e ingiustizie. Perciò si proponeva un’alternativa laica all’educazione tradizionale, conservatrice e bigotta. La contrapposizione ideologica alle scuole cattoliche, oggi completamente superata, era allora molto forte.

Il Comune, retto dal sindaco Renzo Bonazzi, scelse di dare carta bianca a Malaguzzi, fine intellettuale di matrice marxista. I primi asili erano sorti in periferia. Il loro debutto nel centro storico, in un’ampia area dei giardini pubblici, fu una scelta felicissima con un risvolto negativo di cui non c’era piena consapevolezza. Infatti per fare spazio alla scuola, che la rivista americana Newsweek avrebbe definito “l’asilo più bello del mondo”, fu raso al suolo lo chalet Diana, un’elegantissima palazzina liberty che ospitava un caffè e la cabina dell’omonimo cinema estivo. Per Malaguzzi, però, era essenziale offrire ai bambini uno spazio aperto, che attraverso ampie vetrate li proiettasse verso gli ampi orizzonti della natura e del mondo. Ancor oggi i piccolissimi alunni sono incantati dai platani e dai pini che li sovrastano e dal resto della vegetazione rigogliosa che li circonda. Grazie alle sue trasformazioni imparano a conoscere le stagioni. La full immersion nel verde li aiuta ad acquisire i primi elementi di una coscienza ecologica. L’edificio, che ospita 75 bambini di età compresa fra 3 e 5 anni, ha un solo piano e si estende su una pianta quadrata, sviluppandosi intorno a una piazza interna, sulla quale si affacciano le tre sezioni, l’atelier centrale e due piccoli giardini a corte, che portano aria e luce. Le pareti esterne, ampiamente vetrate, lasciano intravedere gli alberi del parco. Nel corso dei decenni l’impostazione pedagogica di questa, come delle altre scuole comunali dell’infanzia, ha subito gli inevitabili aggiustamenti richiesti dai cambiamenti della società. Allo stesso modo si sono evolute le tecniche educative. «Quarant’anni fa – spiegano le maestre – i bambini disegnavano sulla pietra. Ora sono arrivate le tecnologie»”. (cfr Gazzetta Reggio 7 marzo 2012)

L’asilo Diana esiste ormai da 44 anni nei giardini pubblici dal lato di via Allegri e ha dato i primi input educativi a tante generazioni di reggiani e reggiane.

L’asilo nasce nel 1970 nel luogo che fin dalla seconda metà degli anni venti aveva ospitato lo chalet Diana, rilievo architettonico realizzato con la supervisione dell’architetto Prospero Sorgato in armonia con il carattere neoclassico dei giardini pubblici.

Ma l’abbattimento, non senza polemiche, dello chalet più frequentato dai reggiani, e che per decenni ha ospitato l’arena estiva, per fare spazio all’asilo ha portato notevoli soddisfazioni a fronte dei tanti sacrifici. Infatti nel 1991 la rivista americana newsweek ha citato l’asilo Diana fra le “Ten Best Schools” esaltandone, in particolare, sia l’ubicazione sia il metodo educativo introdotto da Loris Malaguzzi.

Nell’asilo più bello del mondo le pareti esterne, ampiamente vetrate, fanno intravedere gli alberi del giardino della scuola e, più in fondo, i grandi alberi dei giardini pubblici della città. Un struttura creata nel verde cittadino perché i bambini di ogni generazione potessero sviluppare una cosienza etica di rispetto per il territorio e l’ambiente essendo essi stessi parte di quell’angolo di natura nella città.

Grazie a quella vegetazione che cambia i colori a seconda delle stagioni, è stato più facile stimolare tante piccole idee e proposte ecosistenibili.

Ma domani i bambini del Diana, a cui si insegna l’immenso valore ecologico della bicicletta con la parola d’ordine «tu adulto, non devi fare niente che il bambino non sia capace di fare» (Loris Malaguzzi 1991 intervista a Gazzetta Reggio), vedranno cantieri, gru, ruspe, camion, rifiuti e tantissimo cemento per dare un tetto a 247 auto.

Cosa proveranno i bambini del Diana? Quale senso stimolerà il deposito del cantiere, quartier generale del cemento, che sorgerà proprio nei giardini pubblici? Saranno confusi o penseranno “che studipi questi adulti! Prima ci insegnano a rispettare l’ambiente e poi costruiscono una parallelepipdeo di cemento dove mettere, tutte insieme, 247 sorgenti di veleno proprio vicino alla nostra scuola!”.

E intanto la polvere dei lavori irriterà i loro occhi, riempirà le loro narici e i loro polmoni, il rumore tormenterà la loro serenità e il viavai dei tasporti di rifiuto, terra e cemento aumenterà i pericoli della strada.

A quel punto agli insegnanti non basterà più il «discutere, discutere, discutere»(Loris Malaguzzi 1991 intervista a Gazzetta Reggio) perché gli adulti avranno già fatto tutto ciò che un bambino non è capace di fare.

Una volta si abbattevano gli chalet del caffè per dare all’asilo più bello del mondo, oggi si abbattono chioschi del caffè per garantire l’ennesima inutile e pericolosa gettata di cemento nel cuore della città

«E’ paradossale. Siamo figli di un carro armato, 9 cavalli e 6 camion lasciati a Villa Cella dai tedeschi in fuga. Le donne della frazione, devastate dalla guerra, li hanno venduti e hanno deciso di realizzare con quei soldi la scuola per i loro bambini. Ero maestro elementare, mi chiamarono e andai a Villa Cella in bici, un giorno che uomini e donne stavano preparando i mattoni per costruire la scuola. Accettai quell’impresa e dopo qualche tempo mi ci buttai a tempo pieno, affascinato da questa prateria libera che era la scuola del bambino in cui potevi inventare tutte le pedagogie». (Loris Malaguzzi 1991 intervista a Gazzetta Reggio; risposta alla domanda “come sono nate queste scuole?” )

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